Epatocarcinoma: l’aspirina potrebbe ridurre il rischio

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Epatocarcinoma: l’aspirina potrebbe ridurre il rischio

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Epatocarcinoma: l’aspirina potrebbe ridurre il rischio

27/03/2019

L’assunzione regolare di acido acetilsalicilico può ridurre il rischio di sviluppare il carcinoma epatocellulare: a confermare le prove emerse dalle ricerche più recenti è uno studio pubblicato da JAMA Oncology, condotto dal Massachusetts General Hospital, che ha preso in esame i dati provenienti da due studi epidemiologici a lungo termine.

La riduzione del rischio è stata definita «significativa» e strettamente legata alla frequenza d’uso: due o più pastiglie settimanali da 325 mg diminuiscono le probabilità di contrarre il carcinoma epatocellulare: la diminuzione è progressiva e va di pari passo con il dosaggio e la durata della terapia. I ricercatori sottolineano tuttavia che l’assunzione regolare di aspirina può aumentare il rischio di emorragie: «Occorrerà verificarne l’impatto sui pazienti affetti da problemi epatici, già più esposti degli altri ai tumori del fegato», precisa la coordinatrice dello studio Tracey Simon.

Il carcinoma epatocellulare è una patologia relativamente rara, ma la sua incidenza è cresciuta negli ultimi quarant’anni, con tassi di mortalità superiori alla media. Il fattore di rischio principale è rappresentato dalla cirrosi, a sua volta conseguenza di epatiti B o C, alcolismo e altre patologie del fegato. La malattia viene spesso diagnosticata tardi, con un tasso di sopravvivenza spesso inferiore a dodici mesi. I benefici dell’aspirina in questo contesto sono noti: il farmaco blocca la produzione di lipidi infiammatori che possono causare danni al fegato. Numerosi studi supportano l’ipotesi che un suo uso regolare può prevenire il carcinoma epatocellulare, ma non era noto il dosaggio o la durata ottimale della terapia.

I ricercatori hanno esaminato i dati emersi da due studi epidemiologici durati per più di trent’anni. Parte dei questionari biennali sottoposti ai partecipanti prevedevano domande sull’assunzione di aspirina: la riduzione relativa nel rischio di contrarre il carcinoma epatocellulare è del 49%, e la percentuale sale al 59% per chi ha assunto il farmaco per più di cinque anni. L’effetto protettivo tende a diminuire, fino a scomparire del tutto, laddove l’assunzione è interrotta. Altri farmaci anti-infiammatori non hanno alcuna relazione con il rischio oncologico.

Gli scienziati ipotizzano che l’aspirina agisca soprattutto nelle prime fasi di sviluppo del tumore, se non addirittura nella fase pre-tumorale, ritardando o prevenendo infiammazioni e fibrosi del tessuto epatico. «È troppo presto per stabilire se una terapia a base di aspirina possa essere efficace nella prevenzione del carcinoma epatocellulare», spiega Simon, «ma gli sforzi per capire in che modo si manifestano gli effetti benefici può aiutare a impostare strategie di prevenzione o ad identificare biomarcatori per una forma di tumore che sta diventando un problema sanitario sempre più urgente da affrontare».

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