Tumore dell’endometrio: nuove speranze da terapia con nanoparticelle
Una nuova terapia contro il tumore dell’endometrio è stata recentemente sperimentata da un gruppo di ricercatori negli Stati Uniti, presso la University of Iowa. In un articolo pubblicato su Nature Nanotechnology, gli scienziati descrivono una cura basata su una combinazione di chemioterapia e nanoparticelle carice di un farmaco in grado di rendere le cellule tumorali più vulnerabili agli effetti della chemioterapia stessa.
Il nuovo trattamento, frutto di uno studio in laboratorio durato tre anni, potrebbe portare a significativi miglioramenti nella cura del tumore dell’endometrio, specialmente per la sua forma più aggressiva e letale. Lo studio apre nuove frontiere anche nel campo delle terapie mirate, che evitano ai pazienti i tipici effetti collaterali legati alla chemioterapia standard, che può danneggiare anche tessuti e organi sani. Lo stesso approccio sperimentato in questo ambito, spiegano gli scienziati, potrebbe essere applicato anche su altri tumori.
L’interesse scientifico per le nanoparticelle è sempre più vivo: le loro dimensioni ridotte permettono a queste ultime di introdursi con relativa facilità nei vasi sanguigni difettosi creati dal tumore per sostentare la sua crescita. In questo caso, i ricercatori hanno caricato le nanoparticelle con due farmaci antitumorali: paclitaxel, un chemioterapico specifico per il tumore dell’endometrio, e nintedanib, un farmaco di nuova produzione che inibisce la capacità di sviluppo dei vasi sanguigni tumorali. Quest’ultimo farmaco, nell’ambito dello studio, ha tuttavia avuto uno scopo diverso: nintedanib agisce infatti su cellule tumorali portatrici di una specifica mutazione. Tale mutazione consiste nell’interruzione del normale ciclo vitale della cellula e la rende più resistente alla chemioterapia.
La chemioterapia colpisce le cellule tumorali nella loro fase di mitosi, quando cioè si dividono. Le cellule portatrici della mutazione restano invece bloccate, e il processo di mitosi risulta rallentato. L’azione di nintedanib forza le cellule a dividersi, facilitando il compito della chemioterapia, un fenomeno che gli scienziati chiamano “letalità sintetica’.
«Di fatto, si tratta di sfruttare il punto debole delle cellule tumorali per distruggerle più facilmente», ha dichiarato il coordinatore della ricerca Kareem Ebeid. «Chiamiamo il processo “letalità sintetica” in quanto siamo noi a creare le giuste condizioni per la distruzione delle cellule».
Il trattamento potrebbe essere esteso, secondo i ricercatori, anche ad altri tumori le cui cellule risultano portatrici dello stesso tipo di mutazione, come alcuni tumori ovarici o polmonari. «I farmaci che abbiamo utilizzato nella sperimentazione sono già approvati per l’uso clinico, contiamo di arrivare presto a lavorare con i pazienti», dichiarano gli scienziati.